In questi mesi sono stato ad Arles, a Cortona, a Savignano e pure a Macerata Feltria (dove ho potuto finalmente ascoltare Francesco Cito, dopo anni di incontri mancati).
Ho visto di tutto, e, alla fine di questa grande scorpacciata di fotografia, mi rimangono, come sempre, ricordi di lavori superlativi, mediocri e pessimi.
Inutile fare un report di cose già scritte e, credo, condivise da chiunque frequenti con una certa costanza i festival di fotografia.
Mi rimane il rimpianto di non essere mai riuscito ad andare a Perpignan, perché collocato in date difficili da gestire con il mio lavoro, subito a ridosso della fine delle ferie. Cosa a cui porrò rimedio molto presto comunque.
Ma oggi mi voglio soffermare sulla piacevole sorpresa che ho avuto (io e tutti i visitatori ovviamente) nell’andare a visitare una bella retrospettiva su
Marco Pesaresi a Savignano, ovvero il conoscere sua madre, una donna minuta, un fascio di nervi con caschetto rosso, che introduceva e accompagnava i visitatori all'interno della mostra.
Non sono un duro, anzi direi che sono più molle di un semolino annacquato, e mi ha colpito l’aspetto genitoriale di questo incontro.
L’energia con la quale ci ha raccontato gli aneddoti avvenuti durante la realizzazione di alcuni dei progetti, autentici capolavori, del fotografo riminese e la forza che deve mettere, tutti i giorni, per mantenere vivo il ricordo del figlio venuto a mancare ormai dal 2001.
Non nascondo di essermi commosso per questa donna che ha perso un figlio in quel modo, ma non solo, ha perso un artista, uno di quei pochi eletti con il dono della visione.
Se Marco Pesaresi avesse scelto di vivere, oggi, a 53 anni, sarebbe nel gotha della fotografia mondiale, perché le sue opere trascendono dal reportage, dal racconto e dalla fotografia stessa, perché il modo di trasmettere le sue visioni, per quanto mi riguarda, difficilmente sono riscontrabili in altri autori attualmente in giro.
Metto sotto una delle sue foto più famose, tratte dal lavoro su Rimini, una di quelle che mi ha sempre colpito, e che la mamma ha portato a Savignano; ditemi se dentro non ci vedete Michelangelo per la gestualità, Fellini e la sua Rimini e Marco stesso, riflesso in quegli occhi che non guardano niente ma che dicono tutto.
Un grande peccato, per la famiglia che ha perso un affetto, per tutti noi che abbiamo perso un genio.
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